Il Friuli Venezia Giulia esce dal «sommerso»

Una regione «virtuosa» per quanto riguarda il tasso di irregolarità del fattore-lavoro: è seconda solo all'Emilia Romagna.
Boom nazionale dei contratti «atipici». Imprenditoria: le «pmi» sorpassano le «grandi».
ROMA «Lavoro nero», il Friuli Venezia Giulia è secondo solo all'Emilia-Romagna quanto a virtuosità relativa al tasso di irregolarità del fattore-lavoro, vale a dire la forza lavorativa utilizzata in violazione delle norme di legge, cioè il cosiddetto «sommerso», che rappresenta il 15,1% del totale nazionale, con un picco del 22,6% nel Mezzogiorno. Lo sottolinea l'Istat nel rapporto annuale sulla situazione del Paese nel 2001, sulla base di dati che fanno riferimento al 1999 e sono disaggregati per settori e per regioni. Nel CentroItalia la percentuale di «sommerso» così calcolata corrisponde al 15,2%, nel Nordovest è dell'11,1% e nel Nordest del 10,9%. La regione con il maggiore tasso di irregolarità è la Calabria (27,8%) e quella con il livello più basso l'Emilia-Romagna (10,4%), seguita da Friuli Venezia Giulia e Piemonte (10,6%). Il fenomeno del «sommerso» interessa sopratutto l'agricoltura, le costruzioni ed i servizi. La flessibilità Per l'Istat, dal 1996 al 2000, c'è stato un vero e proprio «boom» dei lavori atipici (part time, a tempo determinato, ecc...). Ma questo, per l'istituto di statistica, non ha rappresentato una porta d'accesso verso un'occupazione stabile. Fra il '98 e il '99, per esempio, solo 2,7% dei lavoratori in situazioni atipiche è passato ad un lavoro stabile. In Italia i lavoratori atipici sono più di 3 milioni. Nel periodo 1996-2000 i dipendenti con il posto fisso sono cresciuti dell'1%, quelli con un lavoro «atipico» del 40,5%. I 15 dipendenti Le tutele che lo Statuto dei lavoratori prevede all'articolo 18 (tanto chiacchierato e fonte di polemiche) non si applicano nelle imprese con meno di 15 dipendenti. Ma è questa soglia a scoraggiare nuove assunzioni? Per l'Istat, il limite dei 15 dipendenti «non sembra rappresentare un punto di discontinuità». Insomma, le aziende avrebbero accresciuto o diminuito l'occupazione del tutto indipendentemente dalla soglia dei 15 dipendenti. E sull'andamento modesto del Pil nel primo trimestre di quest'anno hanno pesato il minor numero di giornate lavorative «ma anche una forte perdita di ore per scioperi». Il «sorpasso» delle pmi E alla fine, sempre secondo l'Istat, avvenne il sorpasso. Quello delle piccole e medie imprese che, sia per numero di addetti sia perproduttività, organizzazione e tecnologie, hanno scippato il primo posto alle «sorelle più grandi». L'istituto di statistica rivela come il nostro Paese sia connotato da un alto numero di imprese attive - circa 4 milioni, contro i 2 milioni e 100mila della Germania e i 2 milioni e 700mila del Regno Unito - e da una dimensione media estremamente ridotta, che arriva a 3,6 addetti. Il risultato è che le piccole e medie imprese assorbono più manodopera rispetto alle grandi imprese e sono più produttive: i numeri dicono infatti che nelle realtà con meno di 10 addetti si concentra il 49,1% dei lavoratori, il 25% dei dipendenti e il 34,5% del valore aggiunto. Le grandi imprese, e cioè quelle con almeno 250 addetti, assorbono solo il 17,5% dell'occupazione complessiva, producendo il 27,8% del valore aggiunto. In pratica, una piccola impresa ha un livello di produttività pari a meno della metà di una grande. Per Giampaolo Galli (Confindustria) «interessanti appaiono i dati sul peso delle piccole imprese in Italia. La media italiana è di 8,7 addetti contro i 15 della media europea. Il fenomeno era noto ma ora abbiamo un numero. Sarebbe utile una riflessione sul perchè abbiamo tante piccole imprese in Italia».