Inflazione al 2,7%

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Il carovita in Italia. L’Istituto centrale di statistica ha confermato i dati delle città campione
La media dei paesi dell’euro è molto più bassa: 2,1%

ROMA. L’inflazione scende a gennaio al 2,7% contro il 2,8% di dicembre. È quanto ha reso noto l’Istat in base alle stime preliminari che confermano i dati delle città campione. La variazione dei prezzi su base mensile è stata del +0,3%.
I dati provvisori diffusi ieri rappresentano il 53% delle città e il 68% dei consumi delle loro popolazioni e sono stati misurati con il nuovo paniere. I dati definitivi saranno diffusi martedì 18. Se sarà confermata la stima di ieri, l’inflazione sarà tornata agli stessi livelli di ottobre 2002.
In Eurolandia, invece, l’inflazione di gennaio dovrebbe essere scesa al 2,1% rispetto al 2,3% registrato in dicembre 2002. Lo ha reso noto Eurostat, pubblicando ieri la sua stima-flash sul tasso annuo di aumento dei prezzi nella zona euro.
Come di consueto, l’ufficio statistico dell’Ue ha avverito che la stima-flash sul tasso tendenziale di aumento dei prezzi di dicembre potrebbe subire modifiche al momento di annunciare il dato aggregato definitivo atteso per il 28 febbraio. Ma la stima, ricorda un comunicato, si è dimostrata affidabile: nel corso degli ultimi due anni, per 15 volte il dato flash ha anticipato in maniera esatta quello definitivo, in sette occasioni ha segnato uno scostamento fra 0,1 e 0,2 punti percentuali e solo per due mesi una differenza di 0,2 punti percentuali.
Comunque sia, nel nostro paese il carovita è molto più pesante rispetto a quello europee. «Vecchio o nuovo paniere – ha commentato la segretario confederale della Cgil Marigia Maulucci – il risultato non cambia: l’inflazione italiana è di ben 0,6% più alta rispetto a quella europea con ormai un consolidato 0,3% in più a gennaio su dicembre, stiamo perdendo competitività e la combinazione di inflazione alta e crescita bassa penalizza salari, stipendi e pensioni, e mortifica l’occupazione».
Per la Maulucci, dunque, «è inutile chiedere al governo come intenda affrontare la recessione. Conosciamo già le risposte: se non c’è crescita si cambia il meccanismo di calcolo del prodotto interlo lordo (Pil), se aumenta il debito rafforziamo i condoni ormai sempre più tombali, se le entrate sono insufficienti per realizzare investimenti e sviluppo ne faremo a meno, e comunque si possono sempre attingere risorse dal grande serbatoio delle pensioni».
«Per tutte queste ragioni – ha concluso la sindacalista – si conferma sempre più opportuna la decisione della Cgil di proclamare lo sciopero dei settori produttivi il 21 febbraio, per riaffermare la centralità di uno sviluppo qualitativo fondato sulla valorizzazione della risorsa lavoro».